Guerre, uomini e cani by Giacomo Scotti

autore:Giacomo Scotti [Scotti, Giacomo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Oltre
pubblicato: 2017-07-20T22:00:00+00:00

GUERRE, UOMINI E CANI

Al di là dell'Adriatico

Al di là dell'Adriatico

L'ITALIANO DI SLANA BARA

Sono trascorsi moltissimi anni, ma non credo che le cose siano cambiate. Sono paesaggi, uomini e cose che restano incantati e immutati nel tempo, il tempo che non conosce il battere delle ore.

Era l'estate del 1949, l'estate di Slana Bara. Un piccolo villaggio sulla sponda destra del Danubio, a quattro chilometri da Novi Sad, che è il capoluogo della Vojvodina, la sconfinata pianura del grano.

È la prima volta che ci metto piede, approfittando delle prime ferie concessemi da quando vivo e lavoro in Jugoslavia.

Mi trovo alla fine dell'era del diluvio, cammino sulle terre una volta coperte dal Mare di Pannonia. Le acque trovarono la via del Carpati e se ne andarono. Non tutte. Sono rimasti i laghi di Palić, sono rimaste immense lagune e, dove non ci sono, la distesa infinita della terra nera con oasi di sabbie finissime, dell'humus, di una terra fertilissima espressa da un milione e settecentomila ettari di pianura.

Dopo la fuga dal treno, che mi ha portato a Novi Sad passando per Petrovaradin, dopo una scarrozzata sul tram uscito dall'ultima strada del capoluogo, conosciuto da romani come Neoplanta e dagli ungheresi come Ujvidek, mi incammino a piedi verso la pianura. Lungo la strada incontro un carro agricolo trainato da un magnifico cavallo, guidato da un anziano contadino il cui volto è spaccato in due da un maestoso paio di baffi color cenere. Questa gente è tanto forte, tenace e fiera quanto ospitale, affabile, col cuore in mano. Ed eccomi gridare al vecchio, in un pessimo serbo:

«Buon uomo, mi date un passaggio?»

Mi risponde con un semplice "Alà" accompagnato dal gesto del braccio e da un'occhiata che sostituisce la locuzione 'Salta là'. Gli dico che vado a Slana Bara, poi chiedo: «La mietitura è finita?» «Il grano matura presto sulle terre del Danubio» risponde. E il cavallo, alla voce del padrone, affretta l'andatura avanzando al trotto.

Il conducente del carro ed io restiamo in silenzio. L'uomo non vuole distrarmi dal paesaggio sul quale corrono i miei occhi curiosi. La scena è molto diversa da quella da me vissuta in tram, quando – non essendomi ben spiegato, impappinandomi con la lingua – sono stato trattato bruscamente dalla bigliettaia, che mi ha additato agli altri passeggeri come un greco.

Sul ponte del Danubio, nella lontana periferia della città, il vecchio arresta il cavallo. Il grande fiume scorre lentamente, giallognolo, sporco. L'uomo solleva e allunga nuovamente il braccio per indicare, a sinistra della strada, al di là di una breve palude, un villaggio che si allunga ai lati di un'unica carraia. Sulle acque della palude flottano centinaia di candide anatre dai becchi gialli. L'uomo dice:

«Ecco, laggiù... cammina lungo il fiume e in mezzo minuto sei a Slana Bara.»

Scendo, ringrazio, pronuncio un dovidjenja, arrivederci, e imbocco il viottolo che costeggia il Danubio fiancheggiando un canneto. Giungo finalmente a Slana Bara.

C'è un italiano a Slana Bara, uno dei tanti italiani dispersi per il mondo, lui però fiondato in queste terre dalla seconda guerra mondiale.

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